CITTÀ SOLA

di Olivia Laing
ideazione lacasadargilla / Maddalena Parise / Alessandro Ferroni
traduzione Francesca Mastruzzo
riduzione e drammaturgia Fabrizio Sinisi

regia Alessandro Ferroni e Lisa Ferlazzo Natoli
con Lisa Ferlazzo Natoli

voci registrate Emiliano Masala, Tania Garribba

ambienti visivi/spazio scenico Maddalena Parise
paesaggi sonori Alessandro Ferroni
luci/direzione tecnica Omar Scala
costumi Anna Missagllia
sound design Pasquale Citera
aiuto regia Matteo Finamore
coordinamento artistico Alice Palazzi
collaborazione al progetto Emiliano Masala
accoglienza tecnica Giuseppe Tancorre
scenotecnica Carlo Petrucci

una produzione lacasadargilla, Angelo Mai, Bluemotion, Teatro Vascello La Fabbrica dell’Attore
in coproduzione con Theatron Produzioni
in collaborazione con Piccolo Teatro Milano
in network con Margine Operativo/Attraversamenti Multipli

Scheda di presentazione

Introduzione narrativa

“Immaginate di stare alla finestra, di notte, al sesto o al settimo o al quarantatreesimo piano di un edificio. La città si rivela come un insieme di celle, centinaia di migliaia di finestre, alcune buie, altre inondate di luce verde o bianca o dorata”. Olivia Laing ragiona e cammina per le strade di New York disegnandone una mappa peculiare e affettiva, come una cartografia tracciata lungo l’abisso dell’isolamento. New York diventa grazie a Laing tutte le città che abbiamo attraversato e racconta in maniera particolarissima una solitudine che può essere solo urbana. Un libro formidabile che attraversa la solitudine fino e oltre il nostro presente; articolato in sette capitoli per sette inquilini speciali, sette artisti che hanno popolato la città sola di Olivia Laing, una vera e propria “città a sé stante” che scopriamo essere, in fondo, un posto molto affollato.

Città sola attraversa i quadri-acquario di Edward Hopper: Tavola calda, Finestre di notte, I nottambuli sono solo alcuni degli interni svelati allo sguardo dello spettatore per “spiare”, dietro vetri solidi e trasparenti, i contorni sfumati di corpi esposti che sembrano volere solo – come l’autrice – essere “visti, compresi e accettati”. Segue Andy Warhol che si traveste, nascosto dietro registratori e telecamere, per attenuare l’abisso di incomunicabilità e di desiderio che ne infesta l’esistenza; Warhol che non a caso cataloga ossessivamente tracce della sua vita nel tentativo disperato di incapsulare il tempo. Con David Wojnarowicz Città sola scivola invece nella New York degli anni ottanta, per scoprire la grazia politica di quest’artista, gli scritti formidabili e sconosciuti, le sue performance, le fotografie scattate lungo i moli di Chelsea dietro la maschera di Arthur Rimbaud; il legame fra “’il balsamo democratico del sesso” e l’arte nella speranza di “trovare un corpo” per “mostrarsi agli altri”. Scopre Henry Darger, artista poverissimo, autodidatta, con le sue 15.145 pagine scritte in forma di memoir, i collage, gli objets trouvés, i ritagli, le sinfonie di colori; strati su strati di vita e di pennello, un’opera immensa che sembra nascere tutta dal tentativo di questo “inventore di mondi”, di difendere il diritto di “giocare, essere felice e sognare”. Con la figura aliena, luccicante, la voce quasi disumana di Klaus Nomi – “controtenore dell’electro-pop” – Città sola attraversa la New York dell’Aids in un’analisi politica e affettiva che segna anche il capitolo finale del libro – Strange Fruit -, dedicato alla gigantesca opera di rammendo di Zoe Leonard: 302 frutti essiccati, ricomposti e ricuciti con filo colorato, cerniere e bottoni. Un vero e proprio atto di riparazione, per tutti gli amici persi e per comprendere il perturbante lavorio del tempo nelle nostre vite. Perché se l’arte “non può riportare in vita i morti, né sanare le liti tra amici, ha funzioni tutte sue: può creare intimità, curare le ferite, o dimostrare che non tutte le ferite hanno bisogno di essere curate”.

Ed è proprio per tutto questo suo rovistare luminoso tra solitudini, individuali e collettive che Città sola ci somiglia così tanto. Nell’impressione che si ha di quel camminare quasi notturno tra le strade di ogni città possibile. Nella forma di una collettività perduta. Nel riconoscere all’arte – o perlomeno a una certa sua declinazione – una capacità sottile di cura e rammendo delle anime. È nel suo stare in ascolto di queste figure che in modo tutto particolare hanno messo in atto una pratica personale, artistica o politica, che Laing sfiora, con una scrittura mista e mobilissima, lo scandalo della solitudine e allo stesso tempo quella vertigine che l’esser soli produce in un corpo compromesso, iper-percettivo, non più disposto a guardare altrove.  

In Città sola è come se ‘passeggiassimo’ meditando tra le vite, la nostra tra le altre, in un movimento verticale d’investigazione affettiva e mnemonica tra epoche, antropologie, biografie e nodi lancinanti del nostro presente.

Note sull’allestimento

La scrittura di Laing si apre come dispositivo ottico e corpo sonoro; è come se la scena richiedesse un’intensificazione dello sguardo e un’ipertrofia della percezione. La città si fa avanti come una membrana sottile, con i neon verdolini della sera, la grana del selciato, l’odore acido della metropolitana, il vapore di uno scarico, i baracchini con il caffè, il gorgoglio dei tubi di riscaldamento, le sirene dei pompieri. La città entra letteralmente nello spazio scenico: nel corpo dell’unica voce narrante che ne diventa così letteralmente l’organo trasduttore, poroso e percettivo; ed entra, grazie a quel corpo, nell’ambiente sensibile che gli sta intorno fatto di immagini, visioni luminescenti, musiche e suoni.

Città sola prende forma così in un dispositivo narrativo – sonoro e visivo – per una sola voce narrante. Un’opera site specific, da adattare agli spazi che la ospitano in virtù di un allestimento essenziale fatto di due uniche grandi lavagne. Due elementi verticali su cui si alternano resti di scrittura, tracce di geografie urbane e immagini in filigrana. Come fossero un frammento di città, due isole di “granito, cemento e vetro” staccate dai nostri paesaggi urbani. Su queste – con un lavoro minuzioso, dal vivo – scorrono dettagli e macroscopie, come se la città non potesse mai afferrarsi nella sua interezza ma solo tramite percezioni parziali, sguardi, incontri, luminescenze, tracce, grane e materie. E tutt’intorno un paesaggio sonoro, una partitura musicale originale, che combina atmosfere elettroniche e siderali con emersioni di rumori cittadini letteralmente mescolati a un repertorio di Songs e Ballads, jazz, rock, pop, elettropop e folk newyorkesi. Canzoni che hanno informato, l’orizzonte degli anni attraversati dal libro, e che hanno raccolto, anche in tempi recenti, l’eredità sommersa di alcuni degli artisti riscoperti da Olivia Laing.

Un’opera non frontale e intima, dalla natura immersiva e quasi installativa per restituite agli spettatori le formidabili pagine di Olivia Laing.

Questa versione dal vivo di Città sola è la prima variazione, in forma di spettacolo, di un progetto modulare a cura di lacasadargilla che sperimenta più forme narrative articolate in diverse ipotesi sceniche e installative. Il progetto-matrice di Città sola è il podcast/performance urbana realizzata per la città di Milano, produzione Piccolo Teatro di Milano nel corso del Festival Presente Indicativo (aprile/maggio 2022).

Per informazioni sulla distribuzione
theatronproduzioni@gmail.com